Sulle tracce di Tom Joad

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Il viaggio della famiglia Joad, protagonista del romanzo Furore (The grapes of wrath) di John Steinbeck, corre lungo quel che rimane della Route 66, attraverso Oklahoma, Texas, New Mexico e Arizona fino a toccare le coste della California: “promised land” degli Okies, come erano chiamati con tono sprezzante i profughi braccianti dell’Oklahoma espropriati dalle banche durante la Grande Depressione e costretti dunque ad abbandonare le proprie terre, ed oggi “american dream” di numerosi messicani che vivono in quell’aerea, spesso, in una condizione di semi schiavitù.

“L’autocarro procedeva pesantemente nella polvere verso la grande arteria e il lontano West. L’arteria 66 è il grande itinerario dei popoli nomadi. Infinito nastro d’asfalto gettato sul continente per allacciare regioni grigie e regioni rosse. L’arteria 66 è il calvario dei popoli in fuga, di gente che migra per salvarsi dalla polvere e dall’isterilimento della terra, dal rombo della trattrice e dall’avarizia dei latifondisti, dai venti devastatori che nascono nel Texas e dalle inondazioni che invece di arricchire il suolo lo defraudano della poca ricchezza che ancora possiede. Di giorno i loro veicoli sgangherati formicolavano sull’asfalto, e sull’imbrunire si raggruppavano perché sgomenti di sentirsi soli e spodestati.” (Furore, Steinbeck)

Il lavoro racconta metaforicamente le varie fasi di un viaggio teso alla realizzazione di un progetto di riscatto e di libertà. Nella parte iniziale è descritta, anche attraverso alcune citazioni della poetica di Steinbeck, un luogo di partenza inospitale, quasi alieno, una dimensione umana complessa da cui si sente l’urgenza di scappare; nella parte centrale del viaggio è inquadrata un’America, definita e tratteggiata da significative solitudini, da grandi vuoti colmi di silenzio e da profonde distanze.

“Passato Tehachapi, all’improvviso videro l’ampia vallata aprirsi sotto di loro… il babbo disse: Dio onnipotente! Gli orti, le vigne, le file interminabili di alberi fruttiferi, le sparse casette bianche dei coltivatori e, più lontano nella pianura, i centri abitati… il babbo disse: non m’ero mai immaginato uno spettacolo simile. Siamo arrivati! È la California!” (Furore, Steinbeck)

L’arrivo ritrae invece un’umanità più rassicurante, rappresentata dalle storie di alcuni immigrati messicani, che, giunti negli Stati Uniti per realizzare un progetto di vita migliore, vivono sospesi tra ricordo e futuro. La loro condizione si rivela molto faticosa, e l’America viene da loro definita “jaula de oro”(gabbia dorata), un luogo in cui, una volta entrati, si rimane intrappolati senza poter fare ritorno al proprio paese di origine per la mancanza di documenti e permessi, in cui si è costretti a lavorare come lavoratori stagionali, impiegati soprattutto nella raccolta della frutta nei campi della ricca California.

“Una volta la California apparteneva ai Messicani; ma orde di straccioni americani irruppero nel paese. E così imperiosa era la loro fame di terra… I Messicani, deboli e sazi, non avevano potuto opporsi all’invasione, perché non v’era nulla al mondo che essi desiderassero con cui gli invasori americani desideravano la terra…
Ascolto i poveri parlare, e capisco quanto soffrono. Sai cosa mi sembrano? Rondini rinchiuse in qualche soffitta, che sbattono le ali invano, e picchiano la testa contro i vetri polverosi della finestra… Cos’è che vuole tutta questa gente? Vivere decentemente, allevare i bambini, e quando sono vecchi poter sedere sulla soglia di casa a guardare il tramonto.” (Furore, Steinbeck)

“Perché io ci sarò sempre , nascosto e dappertutto. Sarò in tutti i posti… dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì. Capisci?” (Furore, Steinbeck)